Dal quartiere Tamburi a ridosso del più grande impianto siderurgico d'Europa ci sono solo quindici passi, e quìndici passi ugualmente dividono l'impianto dell'Uva dal cimitero di San Brunone, il grande camposanto dove molti degli operai del complesso sono stati sepolti.
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Giuliano Foschini ha scritto un reportage sul più grande e silenzioso disastro ambientale italiano, un lavoro meticoloso tra carte giudiziarie e ambientali, numeri ed emissioni, dove hanno un ruolo importante le mancanze della politica e le omissioni delle classi dirigenti che per quasi cinquant'anni hanno diretto il siderurgico. Filo conduttore dell'inchiesta sono le storie della gente: i bambini che disegnano solo cieli neri, le donne che si ritrovano le loro scope rosse di quarzite, i pastori costretti a sopprimere i greggi per l'allarme diossina sino alla storia dei "mai nati". Un racconto serrato e spietato che spiega perché il disastro di Taranto è un pericolo per il nostro Belpaese. Perché la battaglia sulla sicurezza del lavoro e dell'ambiente si giochi soprattutto in questo impianto - il cui proprietario è oggi azionista della cordata CAI-Alitalia - e perché le nuove norme che regolamentano le emissioni inquinanti siano il campo decisivo su cui si scontrano i poteri locali con quelli nazionali